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De Pedis. Il corpo nella tomba, ritrovate anche ossa prenapoleoniche

20120514_7576_depedis_curiosi22ROMA – E’ lui. Anzi. Era lui. Il Fu Renatino. Col vestito del funerale. Blu scuro. La cravatta e la camicia bianca, ormai ingiallita, la pelle del viso ancora parzialmente integra, anche se era irriconoscibile e le mani quasi intatte. Era tarda mattinata quando è arrivata la notizia. Fuori Sant’Apollinare, la basilica a due passi da piazza Navona dove De Pedis fu seppellito in gran segreto nel ’90, la folla: curiosi, giornalisti, qualche rappresentante delle forze dell’ordine e preti, che sfilavano sul sagrato, in silenzio, come se nulla fosse. Dentro, in un cortile diventato nauseabondo, c’erano davanti alla bara di legno, pesante, spalancata, i poliziotti della scientifica, i magistrati e gli avvocati ma mancava la vedova, colei che volle in realtà, insieme a qualcuno della Chiesa, quella sepoltura, almeno secondo gli inquirenti, perché Enrico De Pedis, a 36 anni, non pensava alla morte.

Appena aperto il feretro, subito è stato prelevato sotto le dita della salma un pezzo di pelle e il risultato del confronto delle impronte non ha lasciato dubbi su chi fosse realmente nella bara. Non dunque Emanuela Orlandi o qualcun altro al posto del bandito, che qualcuno aveva addirittura immaginato vivo magari da qualche parte del mondo. E nella bara non si sarebbe trovato inoltre nemmeno nulla appartenente a Emanuela Orlandi, la 15enne figlia del commesso personale del Papa la cui scomparsa, invece, secondo la procura di Roma, è una storia agghiacciante di sesso e denaro da collegare alla sepoltura. Nessun anello, nessuna foto e nessun altro oggetto di un qualche valore simbolico degno di nota, anche se la polizia scientifica si metterà ad analizzare circa 200 ossa (molte risalenti all’800) trovate nella cripta ma in un locale diverso da dove era seppellito il bandito.

Era il 2 febbraio 1990 quando De Pedis morì, assassinato da un proiettile che gli trapassò la gola, in via del Pellegrino, dove gli aveva teso una trappola quell’Angelo Angelotti morto due settimane fa a 62 anni durante una fallita rapina. De Pedis era quasi all’apice della sua carriera criminale, ripuliva i denari della banda e si apprestava alla scalata sociale attraverso le sue relazioni sociali altolocate. Tra queste monsignor Pietro Vergari, il reggente della basilica che scrisse la lettera di referenze che portò l’allora capo della Cei il cardinale Ugo Poletti ad autorizzare la discussa sepoltura.

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