GENOVA – «Ma lei si rende conto? Mio padre è un uomo che non è mai salito su un autobus senza biglietto, non ha mai preso una multa. Ricordo ancora la strigliata davanti all’orecchino che mi misi quand’ero ragazzo… E adesso che gli capita? La polizia suona all’alba a casa sua per arrestare suo figlio… Povero papà, non se lo meritava». Fabrizio non si capacita. «Meno male che c’ero», ripete. «Mio padre ha 61 anni e problemi cardiaci, se non ci fossi stato io gli sarebbe venuto un infarto».
L’ORDINANZA – Fortuna che c’era, l’agente Fabrizio Raspa. Con il cuore che batteva forte sotto la giacca blu da poliziotto, con il suo delicato modo di fare e di parlare, con l’ordinanza di custodia stretta fra le mani e le parole da dire preparate appena in tempo. Un’ora prima che le volanti partissero dal commissariato di Cornigliano (periferia nord-ovest di Genova) il suo capo, il sostituto commissario Fabio Occhi, l’ha chiamato da parte: «Stiamo andando ad arrestare delle persone per spaccio di droga. C’è anche tuo fratello Mirko. Te la senti di venire con noi?».
LA PERQUISIZIONE – «In quel momento il primo pensiero è stato per mio padre – ricorda Fabrizio -. Mia madre era fuori Genova, per dirlo a lei c’era più tempo. Ma papà era a casa con mio fratello… Sì, ho risposto. Certo che me la sentivo, dovevo esserci». Alle cinque del mattino ha suonato il campanello della casa dei suoi: «Oddio che c’è? Cos’è successo?» si è allarmato suo padre. «Adesso salgo e ti spiego».
L’ACCUSA – «Ho fatto più in fretta che ho potuto. La casa è all’ultimo piano, temevo che gli venisse un colpo. Avrà sicuramente pensato che fosse capitato qualcosa di brutto all’altro mio fratello o a mia madre… Non so descrivere la disperazione che ho visto sulla sua faccia quando ha saputo la verità». Fabrizio l’ha portato in una stanza, aspettando che i colleghi finissero con Mirko e con la perquisizione. «Gli ho spiegato come stavano le cose, ho cercato di usare le parole migliori che avevo, l’ho visto piangere e so esattamente che cosa ha provato in quel momento e che cosa prova. È un uomo d’altri tempi, trova troppo trasgressivo perfino un tatuaggio, s’immagini cos’erano i suoi occhi mentre gli dicevo che Mirko è accusato di aver fatto l’autista di una banda di spacciatori…».
INCENSURATO – A casa Raspa gli occhi dei due fratelli si sono incrociati soltanto un momento. «Gli ho solo detto “sei un deficiente”. La cosa che mi fa più rabbia è che lui quasi non si rende conto di quanto è grave quel che ha fatto. Ha 27 anni, è incensurato, è la prima volta che mette piede in carcere. Dico io: al posto suo sarei disperato. Lui niente, era qui in commissariato a ripetere “non ho fatto nulla, guidavo e basta”, come se non fosse consapevole di cosa significa andare in galera. Non capisce di essere un ragazzo fortunato. I miei genitori gli hanno dato tutto, gli hanno pagato la scuola per fare l’operatore sanitario, si sono fatti in quattro per lui. E lui che fa? Rischia il suo futuro così…».
IL FRATELLO – Le parole escono di corsa, Fabrizio si ferma un istante a riprendere fiato e forse pensa di aver detto cose troppo dure. «Mirko non è una cattiva persona» sospira, «è solo che si lascia trascinare dagli altri. Io non lo voglio difendere, ormai quel che è fatto è fatto. Comunque non riesco a pensarlo come un criminale. Se spacciasse droga ai bambini davanti alle scuole lo ammazzerei con le mie mani. Invece è soltanto uno scemo».
LA LEZIONE – Fabrizio ha 38 anni, una moglie e un bimbo di 10 anni, mai fumato una sigaretta, niente alcolici, droga nemmeno a sentirla nominare, studi da perito aeronautico, e divisa da poliziotto da 18 anni. Domani, armato di tutta la pazienza che può, andrà in carcere a trovare Mirko, a cercare di capire come e se «tutta questa storia possa diventare una lezione, un’opportunità per cambiargli la vita». Gli parlerà con la stessa dolcezza che ha usato per spiegare a suo figlio che lo zio è in prigione. Perché comunque, anche se lui non lo dice mai, gli vuole bene.