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Don Luigi Merola. Il prete della legalità

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ROMA – A Seiano il 27 e a Positano il 28 agosto il Segretario Nazionale Antonia Cennamo è intervenuta all’incontro, organizzato e coordinato dal giornalista Angelo Ciaravolo nell’ambito della manifestazione “Libri sotto le stelle”, con don Luigi Merola, il prete anticamorra, per la presentazione del suo libro “Il cancro sociale: la camorra. La storia di un prete che non ha mollato”.

“Meglio morire in piedi che vivere inginocchiati”. E’ il pensiero, riassunto in sei efficaci parole, di don Luigi Merola, il giovane sacerdote famoso ormai come “il prete di Forcella”, quartiere di Napoli ad alto tasso di disagio sociale e di criminalità, dove nel 2004 fu ammazzata “per sbaglio” Annalisa Durante, una ragazzina del quartiere, e al cui funerale don Luigi usò parole di fuoco, che trafissero il cuore della camorra tanto da costringerlo a vivere sotto scorta.

Don Luigi è un prete che ha fatto dell’impegno civile la sua missione. “Riempire i vuoti che la camorra occupa” è un altro dei suoi obiettivi, dopo aver fatto esperienza, personalmente, di cosa accade per le strade. “Scuola, lavoro, solidarietà, servizi. Dove lo Stato latita la camorra si radica come un cancro, bruciando le vite e il futuro dei giovani. E’ da loro che bisogna cominciare”. Per questo la scelta di stare con la legalità lo ha portato, da qualche anno, anche a creare una fondazione “A voce d’e creature”, che opera all’interno della ex villa del boss dell’Arenaccia ora in carcere, dove riabilita ed educa alla legalità decine di giovani che, come ama dire, “non sono nati delinquenti, perché nessuno nasce delinquente”. Scrive per loro e di loro, con un’umanità che non è solo carità cristiana ma sincero affetto e comprensione per l’Uomo e i suoi limiti.

Con il suo linguaggio diretto, con la forza delle sue azioni incisive, usando la potenza della semplicità e della verità riesce a sradicare la rassegnazione, la paura e l’omertà, cioè le forze su cui fa leva la camorra.

Le stesse forze che agiscono su tutto il territorio campano, anche sul litorale domiziano, dove si affacciano Castelvolturno e Villa Literno, le due realtà raccontate alla platea presente a Seiano e a Positano da Antonia Cennamo, “un vulcano in eruzione”, come l’ha definita don Luigi.

Gli spettatori hanno seguito con grande attenzione anche il suo racconto su quelle che una volta erano terre fertili e turisticamente ambite, la famosa Campania Felix, che si è trasformata nell'”inferno dei viventi”. Il punto di svolta è rappresentato dalle migrazioni delle popolazioni terremotate di Napoli e Pozzuoli e dall’immigrazione clandestina africana: da quel momento il cancro della camorra è cresciuto in modo abnorme. Terre avvelenate da continui interramenti di rifiuti tossici provenienti dal Nord Italia, da sversamenti abusivi nei corpi idrici che l’attraversano, da un abusivismo edilizio incontrollato e dal fallimento dei grandi progetti di recupero, come la realizzazione degli impianti di depurazione. Dopo un massacro perpetrato su tutto il territorio senza l’opposizione di alcuno e con la complicità di molti, la camorra si è sviluppata senza trovare intoppi. Sua la gestione dei movimenti terra, del ciclo del cemento e spesso anche della fornitura di macchinari e mezzi. Suo il controllo sui grandi appalti pubblici (impianti di depurazione, superstrada Nola-Villa Literno, rifacimento del fondo dei Regi Lagni) tutti passati – dopo – nelle maglie della giustizia. Perché, per dirla alla napoletana, in Campania la classe dirigente è come “Santa Chiara, che dopo essere stata derubata, mise le porte di ferro!”. E, sempre più spesso, dopo il fischio finale dell’arbitro, schiera, a difesa delle proprie flebili ragioni, gli uomini della Polizia di Stato.

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